L’occhio umano: una fotocamera da 576 megapixel

Esattamente ora, mentre state leggendo questo articolo, state sperimentando il grandioso fenomeno della visione e tutto ciò che appare di fronte a voi ha  una risoluzione perfetta.

Ma se volessimo quantificare tale perfezione in megapixel, quale sarebbe la risoluzione dell’occhio umano? È difficile confrontare la risoluzione dell’occhio umano con la risoluzione di una fotocamera digitale perché i concetti sono diversi.

Roger N. Clark sfruttando il concetto di “risoluzione angolare” ha calcolato di quanti piccoli elementi individuali (pixel)  un’immagine, che occupa l’intero campo visivo, deve essere composta affinché il nostro occhio la percepisca come un’immagine unica.

L’occhio umano ha quindi una risoluzione di 576 megapixel.

Badate bene però che si tratta di un’approssimazione che assume che in qualsiasi punto dell’occhio, dalla fovea alla periferia, ci sia la stessa acuità visiva, ossia la stessa risoluzione angolare.

Sembrerebbe infatti che il più delle volte il nostro occhio sia una fotocamera da 7 megapixel, che corrisponde alla risoluzione della fovea durante una singola occhiata, risoluzione sufficiente per far sì che tutti i pixel di cui è composta l’immagine, che appare nel nostro campo visivo, siano impercettibili.

Per comprendere meglio la capacità dei nostri occhi di risolvere anche i più piccoli dettagli di un’immagine, è necessario comprendere brevemente  come avviene lo spettacolare processo della visione.

La prima parte del processo visivo è meccanica: la luce passa attraverso la cornea, la pupilla ed il cristallino (anche semplicemente definito lente). La quantità di luce che passa attraverso la cornea è regolata dall’iride, ossia quella porzione anteriore dell’occhio che ne determina il colore, e che circonda la pupilla e ne regola le dimensioni.

In piena luce, infatti, l’iride riduce le dimensioni della pupilla, che lascia entrare meno luce, mentre in penombra, l’iride espande la pupilla, lasciando entrare più luce.

I muscoli e i legamenti ciliari fanno sì che il cristallino cambi forma, consentendo alla lente di focalizzare la luce sulla retina. Questo processo è chiamato accomodazione.

Con l’invecchiamento, il cristallino diventa meno flessibile e la capacità dell’occhio di concentrarsi su oggetti vicini è ridotta (presbiopia creare collegamento interno sito).

Dalla retina partono infine fasci di fibre nervose collegate al cervello dove avviene l’elaborazione dell’immagine che rappresenta la seconda fase del processo visivo.

L’occhio umano presenta caratteristiche uniche ed eccezionali non solo se confrontato con gli strumenti digitali oggi disponibili, ma anche rispetto a quasi tutte le specie di primati esistenti.

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